La geopolitica dei microchip
Data pubblicazione: 24 settembre 2025
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- I semiconduttori sono la risorsa strategica del nostro secolo. E condizionano gli equilibri geopolitici.
- Gli USA sono leader in questo ambito, ma hanno ancora bisogno della manifattura asiatica.
- Le opportunità sono molto concentrate a livello aziendale, ma trasversali sotto il profilo geografico.
ENTRO IL 2030, UN TRILIONE DI DOLLARI USA DI VALORE
Mercato globale dei semiconduttori, in miliardi di dollari USA
Fonte: McKinsey & Company
Apple avrà pure presentato il suo ultimissimo – e sottilissimo – gioiellino. E Tesla potrà annunciare l’uscita di tutte le auto elettriche che vuole. I big della Silicon Valley? Sono certamente padroni di investire miliardi nell’Intelligenza Artificiale. Ma parliamoci chiaro: senza chip, non si muove nulla. Né smartphone, né auto elettriche, né algoritmi. Infatti, si sa: i microchip sono la vera risorsa strategica del nostro secolo. Ma i chip sono il pane. E il pane non si fa senza la farina. E qual è la farina dei microchip? I semiconduttori.
Ora, generalmente qui sopraggiunge un po’ di confusione. Microchip e semiconduttori non sono mica la stessa cosa? Non proprio.
- I semiconduttori sono una via di mezzo tra un conduttore e un isolante: possono quindi condurre o bloccare la corrente. Si tratta di minuscoli dispositivi elettronici, basati principalmente sul silicio o sul germanio, che rendono possibili quasi tutte le attività industriali, compresi i sistemi a supporto della competitività tecnologica e della sicurezza nazionale dei vari Paesi.
- Il microchip (o chip, o anche – per dirla all’italiana – circuito integrato) è il prodotto finale, che contiene il semiconduttore.
Chi domina il mercato dei semiconduttori e dei microchip? La risposta non è semplicissima, perché ogni area economica si è nel tempo specializzata in una certa competenza, dipendendo dalle altre aree economiche per tutto il resto. Senza contare che per fare il pane (i chip) ci vorrà pure la farina (i semiconduttori), ma per fare la farina (i semiconduttori) ci vuole il grano. E il grano in questione non si coltiva: o c’è o non c’è. E se anche c’è, bisogna saperlo estrarre e valorizzare. Sono le famose (o famigerate?) terre rare, un campo da gioco il cui campione è la Cina.
Inizi a capire quanto sia intricato il puzzle? I campioni del prodotto finito (i chip) sono principalmente gli States, ma le terre rare ce le ha la Cina, in un contesto nel quale le ambizioni dell’attuale amministrazione USA e della presidenza cinese stanno, di fatto, ridisegnando in modo del tutto inedito alleanze e rapporti globali.
Semiconduttori: una categoria dalle mille ramificazioni
L’industria dei semiconduttori – ci dice McKinsey - oggi vale più di 600 miliardi di dollari USA a livello globale e si stima che possa superare i 1.000 miliardi entro il 2030 (1). Ma si fa presto a dire “semiconduttori”: in realtà, in quest’ampia categoria rientrano moltissime voci, tante quante sono gli usi e le applicazioni dei semiconduttori stessi. Elettronica di consumo, elaborazione e archiviazione dati, auto elettriche, elettronica industriale, comunicazioni. E molto altro.
Fatto è che oggi la produzione di semiconduttori è fortemente concentrata in poche aziende e in pochissimi Paesi. Il che impensierisce non solo gli Stati Uniti della seconda presidenza Trump, ma anche l’ambiziosa Cina di Xi Jinping e la compassatissima Europa. Del resto, ogni area economica vive ancora oggi come un trauma il ricordo della “carenza di microchip” che ebbe inizio nel periodo più critico della pandemia globale di Covid-19 e si protrasse fino al 2022 (2). Un problema che ebbe ripercussioni assai serie in molti settori dell’economia, a partire dall’automotive, e che portò alla luce le fragilità delle catene globali degli approvvigionamenti.
Dal grano alla farina fino al pane: se parliamo di semiconduttori e di microchip, la filiera segue passaggi complessi e altamente specializzati, distribuiti fra varie aziende e Paesi, ed è perciò esposta al rischio di battute d’arresto di varia natura, incluse quelle legate agli scenari geopolitici.
Semplificando molto, attualmente:
- la terra della ricerca e del design sono gli Stati Uniti d’America;
- la manifattura si concentra a Taiwan e in Corea del Sud;
- la produzione delle materie prime critiche (silicio e terre rare) è dominata dalla Cina.
E quest’ultima è, forse, la sfida più ardua per l’Occidente.
QUALI PAESI OSPITANO GIACIMENTI DI TERRE RARE?
I 10 Paesi con le maggiori riserve note di terre rare nel 2024
Fonte: USGS, Statista
Una sfida ardua per l’Occidente in generale e per gli Stati Uniti d’America in particolare, che saranno pure fortissimi nella ricerca e nel design (3), ma che – fra le altre cose – dipendono ancora molto dall’Asia per la manifattura.
I CAMPIONI MONDIALI DELL'INNOVAZIONE
Le maggiori aziende produttrici di semiconduttori per capitalizzazione di mercato
Fonte: elaborazione Wealthype.ai su dati companiesmarketcap.com aggiornati al 16 settembre 2025
Negli ultimi anni, la rivalità tra Stati Uniti e Cina, acuita dall’espansione di Pechino nel suo ruolo di acquirente e produttore di chip, ha dato vita a un nuovo ciclo di imponenti investimenti e nuove strategie geopolitiche.
- Per contrastare la dipendenza dalla produzione asiatica, gli USA hanno varato il “CHIPS Act”. Inoltre, stanno dando man forte all’industria nazionale: in questo quadro si collocano i due grandi investimenti in Intel, uno da parte del governo, che a fine agosto ha annunciato l’acquisto di una quota azionaria del 10%, e l’altro da parte di Nvidia, che ne ha rilevato il 4% circa.
- La Cina, dal canto suo, sta tentando di crearsi una filiera nazionale completa, investendo in tutte le fasi della catena del valore, dalla progettazione alla produzione.
Secondo quanto ha anticipato il Financial Times (4), recentemente la Cyberspace Administration of China (CAC) ha vietato alle maggiori aziende tecnologiche del Paese (tra le quali ByteDance e Alibaba) di acquistare i chip di Intelligenza Artificiale di Nvidia. A tutto vantaggio dei produttori locali, che secondo i funzionari governativi oggi hanno prestazioni concorrenziali.
E L’Europa? Qui da noi si distingue al momento un’azienda olandese specializzata nella “litografia ultravioletta estrema”: è ASML, la sola al mondo in grado di costruire le macchine sofisticate di cui i produttori hanno bisogno per realizzare i chip più avanzati. Bene, sì, ma si può fare di più: e infatti, anche il Vecchio Continente intende rafforzare la sua sovranità digitale e ridurre il gap di competenze e infrastrutture rispetto agli altri megaplayer mondiali.
Semiconduttori: l’emblema di come si debba diversificare
Per gli investitori, i semiconduttori sono in una certa misura metafora degli investimenti: per quanto si sia bravi, diversificare le proprie scelte è decisamente meglio che specializzarsi in una soltanto.
Nel segmento dei semiconduttori, ciò vuol dire diversificare per titoli e per aree geografiche. Perché sarà anche vero che oggi tutti vogliono diventare bravi in tutto, ma allo stato attuale ognuno è molto bravo e/o dotato in qualcosa e ha molto da recuperare in tutte le altre. Lo sa bene il presidente USA Donald J. Trump, che non a caso vorrebbe mettere le mani sui giacimenti di terre rare fuori dalla Cina (vedasi alla voce “Groenlandia”).
Nei portafogli, quindi, spazio alla diversificazione geografica. In un mondo che, per dirla con le parole del vicepresidente di Goldman Sachs Robert Kaplan, non si sta deglobalizzando, ma è sempre più globale. Però non più (solo) a trazione USA.
(1)https://www.mckinsey.com/featured-insights/mckinsey-explainers/what-is-a-semiconductor
(2)https://www.programmazioneeconomica.gov.it/media/pt2kqh55/nuvv-semmpc-rev-1.pdf
(3)https://companiesmarketcap.com/semiconductors/largest-semiconductor-companies-by-market-cap/
(4)https://www.ft.com/content/12adf92d-3e34-428a-8d61-c9169511915c
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